Stanza 17

Tessa Underwood

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    Figlia di demoni che trasgredirono le regole del cielo.

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    Qualcuno bussò alla porta: qualcuno che non avevo invitato.
    Distrattamente, mi aspettai un sospiro e poi un rumore di passi che si allontanavano: c'era gente che arrivava sino a lì, bussava e poi fuggiva via, troppo spaventata all'idea di parlarmi, anche se non ritenevo di essere così spaventosa.
    Oppure, involontariamente, alimentavo un mito già esistente: non sapevo come fare a cancellarlo.
    E neanche m'interessava.
    Quando però fu la voce di Nab a oltrepassare la soglia, inarcai un sopracciglio, sorpresa: era passato un mese da quando l'avevo visto l'ultima volta -i brevi incontri, spesso nulla più di uno sguardo di sfuggita, non contavano-, un mese da quando la Gabbia era crollata e un mese da quando Jesse mi aveva costretta a riposarmi per far riprendere il fisico dal contraccolpo.
    Udito andato, braccio andato, gamba malconcia: ero un catorcio, e potevo immaginare la ramanzina che mi avrebbe fatto la mamma vedendomi così, anche se poi si sarebbe rivolta a James per chiedergli come mai, l'unico figlio sensato, non riuscisse a tenere entrambi integri.
    Mi sfuggì un sospiro, quando mi alzai ed andai ad aprire la porta: non m'importava di avere i calzoncini corti che lasciavano in bella mostra il lungo solco che percorreva la coscia destra, durante l'estate era praticamente impossibile girare con i pantaloni lunghi e celarla del tutto.
    O di essere scalza, nonostante il pavimento freddo sotto le dita.
    Sistemai la canotta sottile color grigio chiaro e aprii: la prima cosa che notai, fu che sembrava più alto.
    E che c'era qualcosa di strano nel portamento, senza contare gli occhi scuri cerchiati di nero.

    -Entra.- Inarcai un sopracciglio, incuriosita più che infastidita.

    La camera aveva il suo solito ordine maniacale: armadio chiuso e libreria stracolma di libri, il letto rifatto e Rain, il mio vecchio arco, riposto sopra come una sorta di scaccia sogni. C'erano diversi fascicoli anche vicino al violino, posato accuratamente sopra al cassettone: la finestra aperta accarezzava i fogli ordinati sulla scrivania, senza tuttavia sparpagliarli in giro.
    Di recente, avevo aggiunto qualche foto nella parete a cui solitamente davo le spalle: foto vecchie, delle mie prime missioni al Garden, foto di persone scomparse in battaglia, foto amici sorridenti e un paio di scatti fatti con James.
    Insomma, una stanza normale per appartenere al Crudele Capitano dei Guardiani.

    -Hai sete?- chiesi, zoppicando verso la sedia. -Ho del...Mogu Mogu alla Pesca, non chiedermi che roba sia.-

    Non faceva così tanto caldo come in precedenza, ma sicuramente l'estate non era ancora finita: l'unica fortuna era l'aria fresca, altrimenti mi sarei trasferita a Trabia già poco dopo la mia iscrizione al Garden.
    Ma non era quello ad avermi spinta a fare conversazione: sapevo di mettere a disagio Nab.
    Non mi stupiva neanche la cosa: eppure, in un certo senso, ero sorpresa di trovarmelo davanti, l'aria che lo circondava in bilico tra dubbio e timore, come se stesse trattenendo dentro di se qualcosa che non riusciva a esternare. O almeno, era quello che sospettavo: non aveva la stessa postura che solitamente lo caratterizzava, eppure non sembrava neanche così diverso.
    Era sempre Nab, ma non era nemmeno lui.
    Era strano.

    -Altrimenti ho del caffè freddo.- aggiunsi.

    La voce era ancora lievemente distorta, ma almeno adesso ci sentivo come prima: il braccio strava guarendo e non restava altro che un segno sbiadito là dove era stato aperto. Fondamentalmente ero a posto, ancora qualche ora e sai tornata più che operativa: per il momento, qualche allenamento e lunghe sessioni di scartoffie erano la mia sola occupazione.
    Nab sembrava "integro", nessuna cicatrice in vista.
    Eppure, la sensazione non svaniva.
    Sputa il rospo, sputa il rospo, sputa il rospo.
    Inarcai le sopracciglia, osservandolo, ricordando a me stessa che non dovevo saltargli al collo, nè spaventarlo: dovevo lasciargli spazio, in modo che fosse lui a procedere con i suoi tempi. Gli feci cenno di sedersi sul bordo del letto, se avesse voluto.
    Dal canto mio, mi rimisi in piedi, poggiandomi alla scrivania: bevvi un sorso di caffè dalla tazza appoggiata lì vicino.
    E rimasi in attesa.


    Edited by Cheshirered - 31/8/2021, 10:50
     
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    Qualche secondo di silenzio, dove pensai seriamente che non ci fosse nessuno al momento, dopotutto dubitavo aspettasse visite, con gli impegni che aveva probabilmente era da qualche altra parte a compilare scartoffie o in qualche riunione. Invece, con una certa sorpresa, la porta si aprì.
    Tante cose potevo aspettarmi, ma l'inusualità di trovarmi davanti una Tessa in vestiti così casual e poco coperti...era una cosa che non mi sarei mai aspettato. Mi aveva sempre dato l'impressione che fosse una persona che andava a letto completamente vestita e armata di tutto punto per essere sempre pronta all'azione, invece in quel momento era tutto fuorchè con la guardia alzata: canotta sottile grigia, calzoncini corti, piedi nudi e capelli non ordinati. Se non fosse stata Tessa, sarebbe stata una ragazza ordinaria come tutte le altre.
    Ci squadrammo entrambi da capo a piedi, come a studiare chi avevamo davanti. Eravamo le stesse persone di un mese fa, eppure eravamo così diversi. Anche se non fosse stata Tessa, se ne sarebbe potuta accorgere tranquillamente, entrambi emanavamo una diversa "aura".

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    La sua voce none ra affatto infastidita, anzi, sembrava ci fosse una punta di curiosità. Dopotutto ero l'ultima persona che si aspettava di vedere in camera sua. Qualche passo all'interno di essa, mentre chiudevo la porta dietro di me, e potei constatare quanto la pulizia e l'ordine femminile e maschile erano completamente diversi. Non che l'ordine di un ex pescivendolo potesse essere messo a paragone, ma non sarei riuscito ad avere una stanza così ordinata nemmeno per un giorno.
    Tuttavia, la mia mente era troppo stanca per essere analitica, quindi mi limitai a sentire una sorta di relax a vedere una stanza così pulita.
    Ella zoppicò verso la sedia, chiedendomi se avevo sete. A quanto pare le era andata peggio che a me. I primi tre giorni tornato in stanza non riuscii praticamente a muovermi da quanto sentivo dolore in ogni parte del corpo. Andare in bagno era già una impresa, e fare la doccia era stata una dolorante agonia. Il peggio era che non riuscivo neppure a dormire, entrando quindi in un loop mentale piuttosto pessimo.

    Va bene il Mogu Mogu. Se bevo altro caffo potrei collassare. Noto che hai ancora dei rimasugli dalla Gabbia.

    Non avevo visto Tessa per tutto il tempo che ero stato lì, difficile quindi fare una previsione delle ferite che aveva subito. In ogni caso, non erano esattamente superficiali, anche la voce tradiva qualche dolore.
    Feci un cenno del capo quando mi mostrà il letto su cui sedermi, quindi e così feci, restando sul bordo per non rovinare le lenzuola. Ci fu un piccolo silenzio, fino a quando non mi diede il mogu mogu. Non era facile cominciare un discorso sensato, avevo bisogno di un attimo di tempo per elaborare il discorso senza vomitare parole senza significato.

    Scusami se sono arrivato qui senza preavviso, ma avevo bisogno di...parlare. Con te. Ma non so bene come cominciare il discorso. Come stai? Non...non ti ho vista in quel...trambusto.

    Feci un sospiro malinconico. Mi sentivo quasi in imbarazzo, non ero bravo in quel genere di cose. Eppure sapevo cosa volevo dire. Dovevo solo trovare la modalità adatta per esporlo.
     
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    Passi lenti, misurati: sembrava quasi un animale che cercava di adattarsi a un nuovo ambiente, intento a osservare ogni dettaglio per cercare una potenziale minaccia. C'era una strana innocenza negli occhi di Nab: ne colsi appena un frammento, in quel tumulto di dubbi.
    Non ero mai stata brava a capire le persone, ma sapevo quando qualcuno tergiversava: se da una parte volevo sapere che cosa gli ronzava in testa, dall'altra dovevo restare immobile e in silenzio, lasciando che fosse lui a intavolare il discorso.
    Con i suoi tempi.
    Con calma.

    Poi, finalmente, ruppe il silenzio, mentre con le mani torturava quella stupida bevanda che mi aveva regalato James: ci misi un pò a collegare il discorso "caffè-collasso-rimasugli della Gabbia", ma alla fine riuscii a capire che con l'ultimo appunto si stava riferendo, con molta probabilità, al mio modo di camminare e alla voce lievemente distorta.

    -Dici questa?- alzai la gamba destra, quella con la cicatrice deformata, parlando con calma.-Questa è vecchia, è quella che mi fa camminare...male.-

    Non c'erano modi gentili per dirlo, e anche se non ero completamente zoppa, negli anni quel tratto andava accentuandosi: difficile che passasse inosservato. Ma forse non parlava della gamba: si riferiva alla voce, ai vuoti silenziosi che andavano diminuendo, o magari al segno sul braccio, nulla più di una linea rossa disegnata sulla pelle chiara.
    O, molto semplicemente, cercava di trovare un appiglio.

    -Rimasugli della Gabbia, dici?- feci un sorriso amaro.-No. Non questa volta, almeno.-

    Mi ero lasciata sfuggire quel dettaglio: non era da me.
    Probabilmente stavo iniziando a fidarmi, anche se a modo mio: già con Sashichi avevo lasciato intravedere qualcosa, attraverso la mia scorza dura e con Kya era difficile mantenere a lungo la mia fredda armatura. Forse anche con Nab stava iniziando a cambiare la situazione: già solo l'aria che ci circondava aveva un qualcosa di intimo, di confidenziale, e io stavo stranamente parlando con calma e compostezza, evitando di proposito il solito tono gelido che mi caratterizzava.
    Forse perchè Nab mi ricordava, per certi aspetti, la bambina che avrei potuto essere: innocente, titubante. Una bambina soffocata dal fumo circa vent'anni prima, bruciata dal fuoco e plasmata poi dal ghiaccio: una ragazzina con la gamba deformata che, grazie a quel dolore, ricordava ogni maledetto giorno per cosa combatteva.
    Ma stavo divagando.
    Nab non era la me di un tempo.

    Poi la grande rivelazione, anche se poi non era così sconvolgente: voleva parlare con me, di che cosa ancora non sembrava intenzionato a dirmelo.
    Come già detto, era come se stesse camminando su una lastra di ghiaccio troppo sottile: aveva paura di romperla, di affogare, o molto semplicemente, di non riuscire a stare a galla abbastanza a lungo. Ma non m'importava: era come aspettare il momento perfetto attraverso la lente di Azrael.
    Non avevo fretta.
    Guardai Nab, per un lungo momento: c'era un'ombra di terrore, o forse me l'ero immaginata.

    "Hai tutto il tempo del mondo."

    -Non scusarti, non serve.- feci un lieve cenno con le dita, tornando a sorseggiare il mio caffè.-Sono a riposo forzato per un pò: sei una bella distrazione dalle scartoffie.

    Soffiai, stranamente sincera, scoccando un'occhiataccia a tutti i fascicoli accumulati, ai rapporti da confermare e da concludere: mi piaceva, quel lato del mio lavoro, ma non quando occupata praticamente tutta la mia giornata.
    Tornai a osservare Nab, incoraggiandolo a bere un sorso di Mogu Mogu, come se una bevanda con pezzi di pesca potesse avere qualche magico effetto e prepararlo alle mie prossime parole: un pungolo, più che una spada, ma comunque sempre di una lieve spinta si trattava.

    -Ma non sei qui per questo.-aggiunsi, puntando i miei occhi grigi nei suoi, troppo scuri anche con il sole.-Dimmi come stai tu, Nab Maru.-
     
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    Dici questa? Questa è vecchia, è quella che mi fa camminare...male

    Mi mostrò la gamba non sana, e mi spiegò che era una cosa vecchia. Lo disse in maniera del tutto naturale, come non fosse un reale problema. Ammettevo la mia ignoranza, non pensavo anche una persona come Tessa potesse avere simili problemi. Forse perchè avevo l'immagine di lei invincibile.

    Oh, capisco. Non volevo essere...beh si insomma, non lo sapevo. Mi dispiace.

    Era un bene che comunque lei stessa spostò la discussione. Normalmente avrei captato quei segnali e quelle parole sottintese con la mia mente analitica, ma in quel momento non ero realmente in me, parte della mia essenza era ancora tra le macerie della Gabbia, e forse sarebbe rimasta lì per sempre. Tessa era riuscita a vederla, quell'ombra nella mia figura, seppur solo qualche istante. Diedi una rapida occhiata alle scartoffie sopra la scrivania: anche a riposo, Tessa aveva un gran lavoro da fare, non c'era realmente riposo per un Seed del suo calibro. Bevvi un poco di quel succo Mogu Mogu, il quale aveva un sapore strano, gradevole ma particolare, era la prima volta che lo assaggiavo, e non avevo altri metri di paragoni su gusti simili a quello.
    Poi arrivò la domanda di certo non inaspettata.

    Ma non sei qui per questo. Dimmi come stai tu, Nab Maru.

    I nostri occhi si incrociarono per qualche secondo, quando alzai lo sguardo. Occhi che raccontavano storie diverse con finali non sempre allegri. Abbassai di nuovo lo sguardo, per poi bere un altro sorso di succo. Sicuramente aiutava la gola che sembrava volesse seccarsi da un momento all'altro.

    Lo sai, Tessa Underwood. Fin dalla prima volta che ci siamo visti, in quello scontro introduttivo, ho sempre avuto paura di te. Si potrebbe dire più un timore reverenziale, eri l'archetipo di tutto ciò che idealmente volevo essere ma che non ero. Un guerriero forte, esperto, capace sotto tutti i punti di vista, con la carismatica capacità di guidare le altre persone sotto pressione, con un coraggio che io potevo solamente sognare. Questa paura non è mai realmente passata, certo era comunque un segno di rispetto, ma per qualche ragione non ero in grado di sostenere una conversazione con te. Ma...ma dalla gabbia, a Mallet...la paura ha preso una nuova forma. Non era la paura parlare con te, e nemmeno la paura che avevo sentito all'attacco al Garden, che mi aveva bloccato lì sul posto. La paura che ho sentito...aveva una forma, un odore, un sapore, un suono. Una paura che comprendeva tutti i sensi.

    Un brivido lungo la schiena mi fece chiudere gli occhi un secondo facendomi fare uno scatto con la testa. Riuscivo ancora a sentire gli odori; una frase che non aveva un senso logico, che solo le persone che vivevano quel momento potevano comprendere. Ingoiai un groppone che si stava formando in gola. Odiavo sentirmi ancora così sensibile, la parte umana era così terrorizzata che anche in un momento di tranquillità non si scrollava addosso quel torpore.

    Ho bisogno di sapere. Perchè...non riesco ad andare avanti. Continuo a sentire paura, che si trasforma lentamente in rabbia. Una rabbia che non riesco a placare, e che alimenta una nuova paura, formando un loop infinito di emozioni negative. Tu sei una Seed molto più esperta di me. Ho bisogno di capire come andare avanti, perchè da solo non riesco. Anche adesso, il solo parlarne mi fa ribollire il sangue.

    Incrociai di nuovo gli occhi di Tessa, sperando in qualche risposta che potesse aprirmi la mente.

    Ho già perso mio padre a causa delle truppe della Strega, ma pensavo che la cattiveria umana potesse spingersi a tanto solo per colpa della Strega. Ma a quanto pare la Strega non è l'unica che mira a distruggere in maniera indiscriminata.

    Non avevo mai parlato a nessuno del mio passato, era la prima volta che raccontavo un dettaglio simile a qualcuno dentro il Garden. Aprirsi era l'unico modo per sperare di arrivare ad una soluzione.
     
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    Ci fu un momento, in cui, dopo le mie ultime parole, il silenzio si fece pesante tra noi, come una terza persona: l'aria, seppur fresca, era elettrica, piena di aspettative, carica di segreti e di confessioni difficili da pronunciare. Ci fu un momento in cui, quando ci guardammo negli occhi, vidi nuovamente quell'ombra muoversi dentro a Nab: solo lui, però, aveva il potere di renderla reale, tangibile, forse ancora più spaventosa ma almeno possibile da affrontare.
    Ci fu quel momento, poi il contatto si ruppe.
    E le parole arrivarono.

    Le prime furono per me: "mi fai paura".
    Non mi sorprendeva e non potevo dargli torto: a volte non ci pensavo, altre non m'interessava, ma alla fine ci credevo anche io, in fondo. Far paura, essere spaventosa: non era forse quello che volevo, quando mi nascondevo e sparavo attraverso il mirino? Essere un incubo per i miei nemici.
    Per i mostri a cui davo la caccia.
    Ma non per le persone che dovevo proteggere.

    Tuttavia, non erano le sole parole che Nab intendeva affibbiarmi: snocciolò una serie di termini che non sembravano abbinarsi a me, da quando mi aveva incontrata sino all'attacco avvenuto al Garden, alla figura che si era costruito in testa, qualcuno da prendere come esempio e di cui seguire le orme.
    Poi le sillabe deviarono, trasformandosi, scavando a fondo nei suoi pensieri: a ogni lettera, lasciavano cadere nella stanza un pezzo di ombra che avevo intravisto negli occhi Nab, rendendola tangibile e vera, con una forma, un odore, un sapore e un suono ben preciso.
    E io iniziavo a riconoscerne i tratti e quando Nab tornò in silenzio, rimasi in attesa, lo sguardo fisso su di lui e la gola secca: temevo anche solo di respirare troppo forte e spaventarlo, mentre lui, tremante, sembrava cercare la giusta concentrazione o le parole più adatte per sgarbugliare gli ultimi filamenti di paura.

    Incrociò il mio sguardo, aggrappandosi a me come se potessi leggergli dentro e capire meglio di lui cosa stesse succedendo, cosa lo stesse spaventando tanto: mi disse di suo padre, portato via dalla Strega, una guerra che chiamava vittime ogni giorno, spingendo molti sulla strada del Garden per cercare di risistemare le cose.
    E poi c'era Nab.
    Nab che si spingeva oltre e chiedeva "perchè": il ragazzo che aveva paura, ma comunque lottava, cercando invano di restare umano, anche quando si trovava di fronte a fatti inspiegabili che appartenevano a un piano diverso dalla guerra. La cattiveria gratuita, l'orrore, il piacere del dolore: erano così difficili da comprendere, per chi aveva una mente sana e un cuore buono.

    Rimasi in silenzio, per un lungo istante, cercando le parole, abbassando lo sguardo per un attimo sui miei piedi nudi: le cicatrici risalivano e intaccavano le squame che avevo sulla pelle, risposte vecchie a domande che mi ero fatta tante volte, come lui, da piccola. Solo che allora nessuno mi aveva dato una risposta: e, come allora, io...

    -Vorrei poterti dire che esiste una pillola che fa sparire tutto.- dissi, senza guardarlo negli occhi.-Ma non posso.-

    Ripresi fiato, la bocca arsa: avrei dovuto prendere un sorso di caffè, ma non riuscivo a muovermi, appoggiata alla scrivania, le braccia rigide sul piano di legno, le dita che tamburellavano.

    -Sono onorata, dalle tue parole.-iniziai, cercando di partire dalla cosa più facile, per poi continuare su un terreno più difficile e incerto. -Non le merito, ma grazie.-

    Non lo dicevo per falsa modestia: lo dicevo perchè lo pensavo davvero.
    Perchè, anche per come la metteva Nab, la verità era che ero solo un normale cecchino, che da lontano vegliava sui compagni e li proteggeva: leader nel Garden, figure da imitare, eroi che sapevano come farsi valere ce n'erano abbastanza, ma lavoravano in prima linea, non nelle retrovie.
    Non nell'ombra, come me.

    -La verità è che quello che hai, ti mangerà vivo: si piazzerà da qualche parte e non se ne andrà più.- dissi, calcando ogni parola.-Vuoi sapere perchè hai paura di me? Perchè la rabbia che senti, io l'ho conosciuta. L'ho nutrita.-

    "Meglio brutte verità che belle bugie.*"

    -Sono diventata l'incubo dei mostri a cui do la caccia: la vendetta, contro la gente che mi ha fatto conoscere questa fetta di mondo, non mi ha appagata. Anzi.- conficcai le unghie nella scrivania, senza alzare lo sguardo.-Mi ha spinta qui, e ancora adesso non riesco a fare altro che alimentarla.-

    L'odio era entrato in me quando il Circo aveva dato fuoco al mio mondo: era rimasto lì, un porto sicuro da cui ricavare energia, e mi aveva spinta a cercare una via di fuga, un modo per sopravvivere e mi spingeva a lottare per ottenere la libertà. Mi ero ripromessa che sarebbe stato temporaneo, che poi sarei tornata la bambina che la mia famiglia conosceva: ma all'improvviso, quella rabbia accecante era ovunque.
    Assetata, affamata, ghiaccio e ferro nelle vene: e ogni volta, volevo di più.
    Volevo più morte, volevo essere la voce di chi non poteva chiedere aiuto, la vendetta di chi era morto in catene: un pezzo dopo l'altro, e adesso di me non restava che un piccolo frammento di luce circondato da alte mura nere.
    Sopravviveva, anche lei, perchè c'erano James, Connie e Mark.
    Perchè c'erano Jesse, Rax e Zack.
    Perchè c'era Kya.

    -Ma sono anche l'incubo di mio fratello, dei miei amici: non riesco a esprimere ciò che provo, non riesco ad essere normale.- feci una smorfia. Eravamo entrambi a nudo, due cuori a confronto, due anime esposte, le parole l'unico ponte di comunicazione.-Non riesco a fermarmi.- Soffiai.

    Ci avevo provato, dopo la fuga: una vita normale nella terra di Trabia, accanto a James, con i miei genitori.
    Una vita scandita dalla caccia, dalla vita nella Colonia: giorni tranquilli, vita tranquilla.
    Ma nel vento, sentivo quelle voci gridare: le stesse voci che supplicavano nella Gabbia, quando stavano per lottare, chiedendo aiuto agli stessi che scommettevano soldi sulla loro vita. Nel ghiaccio, sentivo quella fredda affinità che mi chiamava, affamata: e così, me n'ero andata.

    -Tu però puoi salvarti, Nab.- dissi, alzando finalmente i miei occhi nei suoi. -Non potrai dimenticarla, ma potrai evitare di diventare così.-

    James mi aveva rivelato il suo segreto: come aveva fatto a riscoprire la vita, pur mantenendo frammenti d'incubo che, sapevo, gl'invadevano il sonno e apparivano come spettri durante il giorno. Aveva provato a insegnarmelo, ma non ci era riuscito, motivo per cui, gli avevo detto che a me bastava saperlo vivo: la mia parte umana, sarebbe stata lui.

    -Appoggiati a tua madre, ai tuoi fratelli, se ne hai: concentrati su tutti i ricordi belli che hai con loro e con tuo padre.- parlavo con convinzione, lentamente, come se gli stessi spiegando passaggi complessi. -Parla con i tuoi amici, goditi ogni piccola vittoria: una missione riuscita, un ringraziamento, il salvataggio di un compagno. Memorizzala. Sentila.- le unghie sprofondarono nel legno, stringendo la presa.-Allenati, sfoga tutti i sentimenti negativi: canalizza ciò che senti in qualcosa. O parlane con qualcuno, anche con me se vuoi.- sospirai. -Non lasciare che la rabbia ti controlli: ci sono tante cose orribili, e adesso lo sai. Ma ci sono anche tante cose belle e tu, devi farti scudo con quelle.-

    Sembravano parole vuote, sdolcinate, false: eppure, erano vere, erano quelle che sentivo di dovergli dire, era la medicina che a me non avrebbe fatto più alcun effetto. Ma per lui, c'era ancora tempo: c'era ancora innocenza nei suoi occhi, tratti umani, la pietà, la voglia di lottare e di fare del bene.
    Era sopravvissuto a tutto quel caos, ed era ancora in piedi: poteva superare anche quella.
    Forse non sarebbe più stato il ragazzino che avevo conosciuto un paio di anni prima: nessuno restava intatto, non con quella vita.
    Ma forse, c'era speranza che non si facesse inghiottire da quell'odio.
    Stava a lui scegliere.

    -Sei la persona più umana che conosco, Nab Maru.- dissi, istintivamente.-Mi dispiace tanto, per tuo padre.-


    *Cit. Sei di Corvi
     
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    Vorrei poterti dire che esiste una pillola che fa sparire tutto. Ma non posso.

    Così iniziò il discorso di Tessa. Una frase che poteva semplicemente smontare qualunque cosa, qualunque mio discorso, frase, pensiero, azione. Avrebbe potuto semplicemente concludere così la conversazione, portandomi ad uscire dalla stanza in pochi secondi. Invece, così come io avevo fatto poc'anzi, quello era solamente il preludio, il pensiero che portava ad una serie di ragionamenti e connessioni che serviva a rafforzare le proprie condizioni, dettate dall'esperienza. In quello, avevo appena scoperto che io e Tessa eravamo abbastanza simili.
    E come me, anche lei si prodigò in un discorso complesso. Non la guardai in faccia, non per timidezza, ma perchè non mi fidavo del mio autocontrollo. Non che fossi un piagnucolone, ma comunque ero emotivamente instabile, e non sapevo se da lì a qualche secondo più tardi sarei scoppiato a piangere per la rabbia, o la frustrazione.
    In parte capivo il suo discorso, e in parte avevo cominciato a capire anche perchè sentissi così timore di lei; si sentiva un mostro, e come tale in qualche modo si comportava, finendo per osmosi per procurare le stesse sensazioni e le stesse energie a chi stava vicino a lei. Quella rivelazione poteva giocare un fattore importante per il rapporto che avrebbe potuto costruire con Tessa, non l'aveva mai considerata come tale, ma era sempre difficile dare una corretta definizione con le parole che conosceva nel suo povero vocabolario.
    E Tessa continuava, dicendo che non poteva fermarsi. Eppure nella mia piccola visione del mondo, lei era perfettamente in grado di controllarsi. Forse era comunque difficile, ma non l'avevo mai vista uccidere indiscrinatamente, e non avevo mai sentito storia di omicidio o di brutale lavoro tra le storie che raccontavano su Tessa.

    Tu però puoi salvarti, Nab. Non potrai dimenticarla, ma potrai evitare di diventare così.

    Istintivamente, a quelle nuove parole di speranza, alzai gli occhi per incontrare i suoi. Non fu una cosa pensata, ma forse il mio cuore aveva bisogno di sentire quelle parole. fu come un cambio di rotta: se dalla sua parte sembrava una nave in procinto di affondare, le parole verso di me sembravano una luce di un faro, una guida per quel mare di emozioni negative che altro non portavano alla medesima conclusione per chiunque. E soffriva, Tessa, si capiva dai piccoli gesti, ma non era semplice per lei far uscire quelle parole. Non perchè non ci credeva, ma perchè lei non era riuscita a trovare la sua guida, finendo per affondare. Ci stava davvero provando, a non affogare, ma potevo percepire in qualche modo la sua sofferenza.

    Sei la persona più umana che conosco, Nab Maru. Mi dispiace tanto, per tuo padre.

    Tornai di nuovo a fissare la mia bevanda: stava cominciando a essere troppo dolce, ma forse era la cosa che più mi serviva in quel momento, per non cadere nello sconforto. Del resto gli zuccheri avevano un particolare effetto stimolante per il cervello...non sapevo tutte le reazioni chimiche, ma di quello ne ero sicuro. Tirai un attimo su col naso, prima di riprendere a parlare.

    Mio padre...era molto simile a me. Suppongo io abbia ereditato gran parte della sua essenza. Lui era convinto che fare del bene era l'unico modo per contrastare il dolore che la Strega e i suoi seguaci provocavano alla gente. Il bene cambiava le persone, permettendo di continuare una scia di positività che poteva dare conforto alle persone, mentre il male era fine solo a sè stesso. Tuttavia quando mio padre fu ucciso dalle truppe della Strega, la gente smise praticamente di provare. La paura che le truppe avevano inflitto avevano aperto una cicatrice troppo grande per la gente di Balamb. Togliendo il faro di speranza che guidava tutti, l'oscurità si era annidata nei cuori delle persone. E tutto questo era orripilante e...sbagliato.

    Feci una pausa per bere quel succo, per poter riordinare le idee e i pensieri, e per poter parlare in maniera lucida. Ricordare mio padre mi faceva tremare leggermente il labbro inferiore, ma mi stavo sforzando con tutto me stesso di darmi un contegno.

    Mio padre era...un grande uomo. Umile, gentile, aveva sempre una buona parola per tutti e non giudicava le persone dal loro passato. Ogni persona era come un pesce, e per trattare un pesce bisognava sapere la loro storia, capire la loro storia, affinchè non ci fossero errori. Ma un pescivendolo, come tu già hai visto all'inizio, non ha la forza necessaria per contrastare il male in arrivo. La gentilezza da sola non basta. Non ho mai pensato un singolo istante che mio padre fosse in errore. Ma bisogna avere numerosi tipi di forza per contrastare la malvagità delle persone. E io ho deciso di diventare Seed anche per questo. Per proteggere le persone serve bontà e gentilezza, ma anche forza, o non si può arrivare da nessuna parte. Ed è per questo che ho bisogno del Garden. Per questo ho bisogno di imparare dai Seed. Per questo ho bisogno di imparare da te.

    Mi alzai dal letto, guardando la porta. Alzai il braccio destro, e con il palmo aperto, recitai sommessamente qualche parola che nemmeno Tessa avrebbe potuto comprendere. Qualche secondo dopo, vicino alla porta, in tutto il suo splendore, Siren apparve, la sua figura umanoide che ci osservava in silenzio, il mio saluto con un cenno del capo, e dopo una decina di secondi, per lo sforzo eccessivo, ella scomparve, costringendomi a tornare a sedermi sul letto, con il fiato leggermente accelerato.

    Lei...è Siren. E' l'unica cosa che sono riuscito a capire, e ancora non riesco a gestire la sua evocazione. E' complicato da spiegare come sono riuscito a ottenere il suo possesso, ma...mi sono allenato a lungo, in questo mese

    Non sapevo quanto fosse normale o quanto fosse strano riuscire ad evocare una seconda evocazione. Non c'era mai stata una chiara spiegazione nei libri, i metodi di ottenimento erano spesso vari e ancora oggi c'erano molti segreti che non erano stati scoperti. Finalmente con un altro sorso, riuscii a finire quel succo, che stava cominciando a diventare amaro tanto era dolce. Una fine degna per quel discorso.

    Voglio continuare a seguire le orme di mio padre. Ma non posso farlo da solo, ho bisogno di aiuto. Ho bisogno di ricordi belli e di persone che mi stanno vicine, come hai detto tu. Ma ho anche bisogno di maggiore forza per poter contrastare ciò che non può essere contrastato con le sole parole. Ho bisogno di trovare il giusto equilibrio tra forza e bontà, in modo tale da non cadere nel baratro della disperazione e nemmeno di essere sopraffatto dalla malvagità che ci circonda. So bene che non esiste modo di poter salvare sempre tutti. Siamo pur sempre umani, e come tali abbiamo i nostri limiti. Ma se posso avere la possibilità di salvare anche solo una persona in più, al costo di farmi male, allora è un prezzo che sono disposto a pagare. Non voglio perdere la mia moralità. Non voglio diventare ciò che cerco di combattere.
     
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    Era un momento importante, una svolta, una variazione: potevo letteralmente sentire sulla pelle la piega che stava prendendo il discorso, il sentimento che rimbalzava tra me e Nab e le decisioni cruciali. C'era una stana intimità nell'aria, racconti che restavano intrappolati in una scatola come segreti, ricordi che venivano a galla, per ricordarci chi e con che ideali eravamo cresciuti.
    Pensai ai miei genitori: persone normali, che facevano la loro parte in una Colonia, insegnando a me e a James come sopravvivere, come essere parte di un gruppo e quanta unicità c'era in noi; pensai a loro, avvolti dalle fiamme, che gridavano i nostri nomi, che ci cercavano, che avevano percorso chilometri e terre per avere un frammento delle nostre tracce.
    Non erano un faro, come il padre di Nab: non erano una torcia di speranza che guidavano altri nel buio.
    Ma erano stati il mio punto di riferimento, quando ero prigioniera del Circo.

    Scossi il capo, tornando a concentrarmi interamente su Nab: mi venne da sorridere, nel sentire la similitudine tra le persone e il pesce, non potevo che trovarla azzeccata, anche se bizzarra. Conoscevo il tipo di paura che descriveva: quella che ti portava ad aver timore di respirare, di perdere chi amavi, di fare un passo. La paura che ti toglieva tutto e ti lasciava vuoto e nudo.
    Impotente.
    Doveva essere un grande uomo, se si ostinava tanto a lottare a discapito delle coseguenze: e se quel ragazzino era anche solo lontanamente simile a lui come diceva, allora avrebbe fatto grandi cose in futuro, diventando quel faro che scacciava un pò di buio e che portava le persone ad alzare lo sguardo per trovare una scappatoia, e lottare.
    Ma non era mai facile come sembrava e i buoni propositi spesso non avevano altro da offrire: ecco perchè, a quanto pare, Nab aveva bisogno più delle belle parole a sua disposizione, e sentirlo dire che aveva, in qualche modo, bisogo di me, mi fece ripensare a James.
    James, che mi chiedeva di non lasciarlo solo o di sacrificare la mia vita per lui.
    Il mio James.

    Quando si alzò, m'irrigidii per un attimo: e quando Siren balzò fuori, occupando metà della mia camera -evitando, per puro miracolo, di far cadere cassettiere e armadio- mi trattenni a stento dal balzare dietro la scrivania e tirare fuori la pistola che tenevo nel cassetto. Avevo trattenuto quell'istinto, facendo solo uno scatto lieve, costringendomi contro ogni logica a stare ferma: era quello che avevo detto a Nab, era l'isitinto mutato e distorto che non volevo s'insinuasse in lui, portandolo a dubitare di chiuque e a essere guardingo su ogni cosa.
    Lo osservai con attenzione, mentre tornava a sedersi, inciampando sulle parole: non mi sfuggì il ritmo accellerato del respiro.
    E lasciai che il silenzio invadesse la stanza, come se le sue ultime parole si fossero trasformate in una coperta che aveva bisogno di adagiarsi un attimo: c'era da apprezzarne la trama, il tessuto, la fattura.
    Un discorso profondo per dire che Nab aveva bisogno di qualcosa per raggiungere la sua meta: stabilità, equilibrio, forza e un'anima d'acciaio brillante.

    Mi mossi in direzione della libreria, il passo zoppicante come al solito: quello era il mio indizio, il mio motivo, la cosa che mi aveva spinta a rivolgermi al Garden anni prima, piena di furia e di "perchè" senza risposta.
    Spulciai tra i libri, dando brevemente le spalle a Nab: un gesto che forse, un tempo, non avrei fatto con tanta leggerezza.
    Quando mi voltai, gli allungai qualcosa: un taccuino con la spirale nera da una parte e un elastico logoro dall'altra. Sembrava più che altro un libricino sottile, con delle pagine strappate: aveva la copertina rovinata, e se ci si avvicinava abbastanza, si poteva sentire un vago odore di polvere e di metallo.

    -Era di Maxwell, un mio compagno d'armi.- dissi, rompendo finalmente la trama di parole sospese.-Si segnava tutto, era interessato a tutto: soprattutto, indagava sulle evocazioni di Guardian Force, anche se era una sua specialità.-

    Eravamo nella stessa classe, avevamo iniziato nello stesso periodo: avevamo passato diverse missioni insieme, il contrasto tra il suo carattere giocoso e curioso che cozzava con il mio, il suo modo di fare amichevole che sembrava sempre alleggerire l'atmosfera. Una volta mi aveva mostrato qualche pagina: il più era dedicato ai Guardiani, ma altre contenevano annotazioni sui Seed che aveva incontrato, appuntante vicino a visi abbozzati sulla carta ruvida.
    Su Jesse aveva scritto: "scorbutica in battaglia" o "un complimento va fatto con sincerità"
    Su Mark si era appuntato: "gli ingranaggi lo aiutano a pensare" e "ama le cose soffici"
    Su di me, si era segnato: "non ride, sibila" o anche "è molto protettiva"
    Non ero riuscita a strappare quelle pagine, quando era morto: non avevo trovato il coraggio di buttare quello stupido blocco che mi ricordava costantemente di lui, quando lo vedevo.

    -Non l'ho mai letto, ma una volta me l'ha fatto vedere.- aggiunsi.-Se ricordo bene, ci sono punti in cui parla di respirazione e concetrazione, equilibrio mentale o simili. O anche di evocarli mentre si sta combattento a distanza ravvicinata o sotto pressione: ci sono diverse teorie ed esperimenti fatti in prima persona.-

    Inarcai le sopracciglia, facendo poi ondeggiare il blocchetto che avevo in mano, ora competamente rivolta a Nab: non era Maxwell, non era James, ma in un certo senso, quel passaggio, sanciva e rafforzava un legame tra di noi, un qualcosa che non aveva ancora un nome.

    -Adesso è tuo.-
     
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    Quando Siren comparve nella stanza dopo la mia breve litania, Tessa sembrò per qualche istante sul piede di guerra, come se avesse davanti a se un nemico da eliminare il prima possibile. Fu probabilmente per via della mia presenza e del suo autocontrollo che riuscì a non mettersi in modalità da battaglia. Tessa era pur sempre un soldato, e come ogni soldato era stato addestrato a reagire in pochi istanti ai pericoli e alle circostanze inusuali. Una cosa che difficilmente sarei riuscito a fare, ma non ero nella giusta mentalità per poterlo dire con certezza. Apprezzai comunque il fatto che riuscì a controllarsi, sarebbe stato potenzialmente problematico; ero strano anche come evocatore, poichè non consideravo Siren e Quetzal delle semplici estensioni di me stesso, degli attrezzi da utilizzare in combattimento. Li reputavo miei pari, come reputavo miei pari qualsiasi persona -o creaturina, come Zyrcon- all'interno del Garden. Il rispetto era alla base di tutto, ed era uno dei miei capisaldi.
    Quando Siren scomparve di nuovo, ritornai a sedermi sul letto, principalmente per riprendere fiato, ma anche perchè inconsciamente la reputavo una cosa giusta. Era come se per rispetto non volessi stare sullo stesso "livello" di Tessa.
    In silenzio, ella andò verso la sua libreria, per cercare qualcosa. Sembrava che fosse qualcosa di particolare, perchè non stava andando a caso, e difatti una dozzina di secondi più tardi, smettendo di darmi le spalle si avvicinò di nuovo, questa volta con un libricino sottile, nero, quasi logorato dal tempo; sembrava in qualche modo un pezzo di anima di Tessa.

    Era di Maxwell, un mio compagno d'armi. Si segnava tutto, era interessato a tutto: soprattutto, indagava sulle evocazioni di Guardian Force, anche se era una sua specialità.

    Due cose mi saltarono subito alla mente in quelle poche parole. Primo, non avevo mai sentito parlare di questo Maxwell all'interno del Garden. Secondo, aveva parlato al passato. Non era difficile fare due più due per capire che fine avesse fatto. Una persona cara a Tessa, con una mentalità analitica probabilmente più della mia, che si segnava tutto ciò che poteva essere utile. Probabilmente sarei andato d'accordo con una persona del genere.

    Non l'ho mai letto, ma una volta me l'ha fatto vedere Se ricordo bene, ci sono punti in cui parla di respirazione e concentrazione, equilibrio mentale o simili. O anche di evocarli mentre si sta combattento a distanza ravvicinata o sotto pressione: ci sono diverse teorie ed esperimenti fatti in prima persona.

    Da quello che capivo, anche lui era un evocatore come me? Non c'erano molte persone che si trascrivevano note sui Guardian Force. Tuttavia non avevo il tempo di fare elucubrazioni, poichè Tessa era intenzionata a darmi quel taccuino. Nella mia testa c'erano un sacco di cose che volevo dire.
    "sei sicura?"
    "non posso accettare"
    "è un dono che ha fatto a te"


    Tutte cose stupidi e inutili. Se Tessa aveva deciso di darmi quel taccuino, aveva i suoi motivi, e sarebbe stato molto più irrispettoso rifiutare -senza contare che sarebbe stato svantaggioso per me e per i miei problemi attuali-, quindi mi alzai e presi delicatamente quel piccolo pezzo di Tessa.

    Io...non sono bravo con le parole. Vorrei dirti tante cose. Ma...credo che un grazie infinite possa riassumere tutti i pensieri più importanti. Lo custodirò con molta cura
     
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    Mi limitai ad annuire, perchè non c'era altra risposta da dare, lasciandomi scivolare sul bordo del letto, sedendomi sulla punta dell'angolo, più che altro per far riposare la gamba e il corpo che ancora scricchiolava dal Torneo: tra me e Nab, solo il respiro.
    Un domani, mi sarei chiesta il perchè.
    Perchè gli raccontai quella cosa.
    Ma in quel momento, forse complici anche i farmaci, schiusi le labbra e parlai, senza tuttavia posare lo sguardo su di lui: fissavo il muro, il vuoto, la stanza o qualcosa d'inafferrabile per il ragazzo. Cercavo di ricordare e dimenticare nello stesso momento.

    -Quando arrivai al Garden, non m'importava di nessuno.- ammisi.-La mia unica priorità era nutrire la rabbia e l'odio che avevo dentro: volevo a tutti i costi porre fine al mercato nero dei bambini.-

    C'era un fondo di rabbia nel mio tono e nel pronunciare quelle sillabe, sentii il rancore salire e arrampicarsi lungo la gola, riempire il cuore e avvolgermi come una seconda pelle, quasi l'avessi svegliato da un torpore imposto sino a pochi secondi prima.
    Presi un respiro, godendomi quella sgradevole sensazione, abituata oramai al suo tocco da che avevo memoria.

    -Andavo avanti, conoscendo il dolore dei marchi e delle ossa spezzate: sapevo cosa provavano, e volevo risparmiargli quel dolore. Non m'interessava dei miei compagni, non mi fidavo di nessuno, tenevo le distanze: la sola persona che amavo, mio fratello, era al sicuro. Perchè avrei dovuto prendere a cuore gente che sarebbe sparita dalla mia vita?-

    I compagni di squadra cambiavano a ogni missione e se anche qualcuno di loro restava una costante, non m'interessava: facevo il mio lavoro, tenevo le distanze, cercavo di farli arrivare vivi a fine giornata e poi basta.
    Il mio compito finiva lì, e non m'interessava approfondire: la sete che sentivo, le urla che mi perforavano le orecchie e le suppliche che un tempo anche io avevo rivolto al silenzio, mi pervadevano completamente e l'urgenza di zittirle, di sfamarle, era troppa.
    Il Circo aveva preso ciò che ero.
    Avevo perso Tessa, la bambina che amava la neve e i boschi, che suonava il violino e cacciava con sua madre, che ascoltava le storie di suo padre e giocava all'ombra di suo fratello: non ricordavo nemmeno come fosse fatta, che forma avesse, il suo odore o la pelle che indossava.
    Era così distante, eppure ero sempre io: c'era una ferita che avevo fatto infezione, mi aveva contagiata, trasformando quella bambina in una creatura che a stento i suoi genitori riconoscevano.
    L'unico che sapeva, che poteva vedere con chiarezza, era solo James.

    -Poi Connie ha iniziato a diventare insistente, Rax mi ha salvato la vita, Zack mi ha ricordato come si suona il violino: ho chiesto a Mark e Kharazim d'insegnarmi a combattere, e Jesse si divertiva un mondo a ricucirmi.- dissi, con un sospiro, guardandomi i polsi, le cicatrici sulle braccia, le squame che rilucevano sotto il sole. -Senza che me ne rendessi conto, ognuno di loro mi aveva dato un pezzo di sè, dei sentimenti su cui riflettere, una nuova prospettiva.-

    Alzai la testa, osservai il violino esposto, la musica che era diventata la mia voce, l'unica che potesse oltrepassare la corazza che mi ero costruita, urlando al mondo ciò che sentivo, anche se in una lingua quasi sconosciuta: le foto che avevo in giro per la stanza mi ricordavano, ogni volta che le osservavo, che non ero sola, che ognuno aveva il suo obiettivo, la sua ombra da tenere a bada, il suo percorso da seguire.
    E io non facevo eccezione: solo, ora nel mio mirino c'erano molte più cose a cui dare la caccia, molti più mostri da estirpare dal mondo.
    Ma non ero sola.

    "Non sei sola, Tessa"

    -Non tornerò mai la bambina che ero, la prigionia mi ha distrutta: ero invidiosa di mio fratello, perchè aveva trovato il modo di ritrovare la sua umanità, cosa che io non riuscivo a fare.- aggiunsi, voltandomi verso Nab. -Ma poi sono apparse tante strane luci sul mio cammino, per certi versi molto fastidiose, ma che mi hanno, in qualche modo, ridato un pizzico di normalità: ripeto, so di essere un mostro, so quell'odio è ancora lì, so che non sarò mai normale e non m'importa più.-

    Tutti loro, erano diventati un pilastro che mi aiutava a non affondare, frammenti di luci che proteggevano quel brandello di umanità che era rimasto dentro di me: i miei compagni dei Guardiani, la gente che di rado otteneva la mia fiducia, erano strane catene che mi trattenevano dal sacrificare inutilmente la mia vita. Volevo ancora porre fine ai pianti e alle voci, volevo ancora guardarmi attorno e non trovare più alcun cenno di schiavitù o maltrattamenti, né segni di case andate a fuoco o genitori disperati: era ancora il mio obiettivo principale.
    Ma poi alti nomi si erano aggiunti alla lista, altri appunti venivano scarabocchiati ai margini: note su di me, su ciò che sentivo, sui miei amici.
    Altri sentimenti ed emozioni erano nate con il tempo, e ancora adesso cercavano di sbocciare, anche se a fatica.

    -Ma ho deciso che voglio, tra le altre cose, ringraziare tutti loro.- aggiunsi, inclinando la testa, distogliendo la sguardo.-Mi hanno dato una chance, quando io stessa non l'avrei fatto: mi hanno aiutata, anche se involontariamente, anche se io non avevo chiesto nulla.-

    Sospirai lievemente, la bocca secca, i muscoli tesi, come se fossi pronta per andare in battaglia: scrollai le spalle, scacciai la sensazione che mi aveva avvolto appena avevo ricordato il mio passato, cercando di alleggerirmi di un peso invisibile.

    -Tu sei stato più intelligente, hai chiesto aiuto subito.- intrecciai le dita, spostando nuovamente i miei occhi su di lui.-Ti prometto che farò tutto ciò che posso per aiutarti e per non farti diventare così. Nessuno merita di diventarlo.-

     
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